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Oggi, 20 anni fa, veniva pubblicato il primo sito Web della storia di Internet da Tim Berners-Lee, il famoso ricercatore inglese che al CERN di Ginevra pubblicò la prima proposta di sistema ipertestuale che sarebbe diventato il World Wide Web. Ho atteso questa data per inaugurare il blog della mia creatura – Movantia – sentendo la necessità di scrivere, come molti fanno da tanto tempo, le mie riflessioni e idee principalmente per me stesso e, perché no, anche a favore di chi le dovesse trovare interessanti almeno un po’.

Vent’anni non sono lontani, eppure ci hanno cambiato la vita. Personalmente, ho avuto sempre interesse verso il mondo digitale fin da quando un piccolissimo gruppo di professori riuscì a far provare a un gruppo di ragazzi, tra cui c’era il sottoscritto, la strana emozione di scrivere banali programmi in BASIC su degli Apple II. Avevo già una gran passione per la comunicazione, che avevo ereditato dalla mia famiglia perché la fotografia e la pubblicità sono sempre stati mestieri comuni in casa, abitata da gente con voglia di innovare e di esprimersi. Quel computer, che bisognava programmare per qualsiasi funzione dovesse eseguire, mi fece immaginare subito la possibilità di creare in modo nuovo quei disegni che fin da piccolo, matite e pennarelli in mano, mi divertivo a fare imitando le pubblicità sulle riviste.

Era l’estate del 1984 quando comprai, grazie a mio padre – pubblicitario che seguiva attento i miei ragionamenti sul futuro digitale – il Macintosh 128K appena uscito, con la sua stampante ad aghi. Costava quanto un’automobile, si scaldava così tanto che occorreva tenere un ventilatore di fianco altrimenti “andava in bomba” perdendo il lavoro non salvato, ma riusciva a sostituire bene le lettere trasferibili dei layout, in molti casi. Chissà perché ho conservato centinaia di dischetti pieni di quei proto-lavori che trasformarono un’arte che prima era solo manuale e che avevo avuto modo di imparare quand’ero ragazzino da mio padre. La rivoluzione era iniziata.

Mi interessavo da tempo di ipertesti e la mia tesi di laurea in Lettere e Filosofia la scrissi anche grazie a un terminale dell’Università alla banca dati Dialog che usavo per reperire fonti sulla computer grafica, un tema che in Italia era davvero raro trovare. Trovai piacevolmente strano il potermi collegare in tempo reale a una “biblioteca” americana grazie a un modem, nonostante una lentezza disarmante. Fu il mio primo assaggio con la telematica, seconda metà degli anni ’80 e il Web non era ancora nato, ma le prime BBS sì. Strane persone abitavano quegli “ambienti” ricchi di stimoli e di immaginazione. Ci entrai trovandoci gusto. Erano anni in cui era molto in voga il termine “multimedia”, con i programmi e i giochi su CD-ROM. Nel 1991 mi affascinai del nuovo sistema CD-i della Philips, che aveva un tool di authoring e una a grafica fantastici per creare presentazioni interattive anche per il Marketing, che era diventata la mia specializzazione professionale. Allora avevo già costruito, grazie ai Mac che nel frattempo avevo seguito nella loro evoluzione, varie presentazioni multimediali per aziende “illuminate” con Macromedia Director. Ma Philips non ebbe, a mio avviso, una strategia di marketing forte e tre anni dopo abbandonò il CD-i incalzato dalla prima PlayStation, che era “solo” una consolle per videogames.

Tutto era, ai miei occhi, poco convincente finché a un convegno conobbi Aaron Marcus, persona di carisma unico e di incredibile visione tecnologica. Un genio. Con un background da disegnatore grafico, Marcus si laureò in Fisica a Princeton e in Design a Yale per poi progettare le prime applicazioni di Computer Graphics negli anni ’70, prima di insegnare a Berkeley. Parlando con lui cominciai a “vedere” fin dalla prima volta quel futuro che non avevo ancora chiaro in mente, fatto di informazioni ipertestuali condivise in remoto, di interfacce intelligenti, di ipermedialità e di interattività diffusa. Aveva lavorato a progetti innovativi come l’interfaccia del Lisa (fratello maggiore del Mac) e stava creando prototipi futuristici apparsi solo poco tempo fa. Approfondii la teoria degli ipertesti andando a trovare a casa sua il padre degli ipertesti, George Landow. Professore di Storia dell’Arte alla Brown University, Landow scrisse i primi testi filosofici sugli ipertesti e la chiacchierata con lui mi aiutò ulteriormente a capire i legami tra le tecnologie e la comunicazione, secondo un’ottica umanistica. Cominciai a seguire i temi della Rete e a frequentare fiere negli USA (scrivendo su riviste come BIT della Jackson e altre).

Arrivò il 1994 e anche in Italia si cominciò a parlare di Web. Il primo browser, Netscape Navigator, apparse dopo la prima release di Mosaic e in una conferenza americana conobbi e parlai, tra gli altri, con Jim Clark e con i due fondatori di Yahoo! David Filo e Jerry Yang a poche settimane dal lancio della loro directory. Allora decisi di trasformare lo studio pubblicitario ereditato da mio padre in Web Agency, da pioniere (incosciente, se visto con gli occhi di allora). Lo scenario era per me molto chiaro e il mio obiettivo era già il portare il marketing su Internet per le aziende clienti. Con un pizzico di orgoglio mi vanto di aver “visto” oltre, leggermente prima di Bill Gates che in una nota aziendale del 1995 anticipò molti degli scenari realizzatisi.

La mia strategia, da comunicatore e non da informatico come erano tutti allora, fu di propormi al mondo dello sport e dell’entertainment, unici ad avere un orizzonte internazionale e la necessità di dialogare direttamente con utenti e tifosi, cosa impossibile finallora coi media tradizionali. I fratelli Flammini, organizzatori del Mondiale Superbike, il team manager di Ducati Corse ed ex campione Virginio Ferrari, il CONI, Alberto Tomba, Max Biaggi, Andrea Piersanti e soprattutto i dirigenti di Telecom Italia di quegli anni credettero subito nel mio lucido entusiastico pensiero e mi permisero, a partire dal 1995, di diventare uno dei designer di format interattivi su Web tra i più in voga in quegli anni. I primi eventi online in diretta, con audio e video su Web, tra cui quelli prodotti alle Olimpiadi di Atlanta con i “diari degli atleti” (oggi li chiameremmo blog) o alla Mostra del Cinema di Venezia del 1996 con gli spezzoni dei film in concorso e le interviste video ai talent – sperimentando per primi l’ISDN italiana, aprirono quel mondo che oggi, con la banda larga, sono comuni ma che a quel tempo erano pura sperimentazione applicata. La teoria di una nuova comunicazione, disintermediata e globalmente accessibile on-demand, prendeva forma grazie a personaggi famosi come Tomba, Biaggi, Soldini, Compagnoni, Baggio, Rossi, Zanardi, Bocelli e altri per cui il Celebrity Relationship Management fu un mio format che diede risultati mediatici e di immagine rivoluzionari.

La sfida personale continuò con il mio ingresso in Tiscali, nel 2000 – quando era il fenomeno industriale italiano e poi europeo, oggi ridimensionato – dove le mie teorie e ambizioni trovarono in larga parte le soddisfazioni che cercavo. La parentesi Internet si chiuse temporaneamente per concentrarmi sul marketing dell’entertainment all’Ente dello Spettacolo e in Cinecittà Holding.

Il Web, nel frattempo, era diventato 2.0 e nella seconda metà del 2000 sono nati i fenomeni attuali, i Social Networks. Essi hanno modificato le abitudini personali, anche in conseguenza delle tragedie globali che stiamo ancora vivendo. Osservati attentamente da utente con una certa esperienza, hanno riscatenato in me quell'”anima digitale” che mi ha portato nel 2008 a ritornare indipendente con Movantia, dove sto associando la mia esperienza internazionale negli eventi e nel branding con il nuovo scenario digitale.

Sono passati vent’anni da un’invenzione che mi ha cambiato la vita e che mi appassiona e affascina ancora tanto. Da oggi continuerò a lasciare qualche impronta di inchiostro digitale con il piacere di chi ama il proprio lavoro, forse anche perché in parte lo ha proprio visto nascere.

Fabio Fabbi

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