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Le sfide del momento sono tante, più difficili di quelle che ci saremmo attesi. I clienti/consumatori sono cambiati, i riferimenti di qualche anno o persino di qualche mese fa si sono modificati, la capacità di innovare è molto sbiadita. Cercare di mantenere le posizioni non paga, anzi. L’unica reazione è guardare oltre, nonostante la cortina di guai nazionali e internazionali, cercando vie d’uscita che mi sento di suggerire vanno trovate nei nuovi strumenti di comunicazione. Solo l’evoluzione dei processi e delle idee può darci una prospettiva competitiva, da individuare studiando e capendo le dinamiche di quelle attitudini “2.0” che anche nel nostro Paese si stanno largamente affermando. Qualche dato: l’Italia ha circa il 99% di PMI, che solo nel 4% dei casi vendono via Web. In termini di innovazione siamo pigri e incerti, anche se in qualche raro caso di successo le reti di impresa hanno invertito questa triste normalità.

La capacità di innovare passa dall’aggiornamento del sapere, dalla capacità di ascoltare attentamente cosa succede attorno a noi e dal desiderio di mettersi in gioco. La formazione mirata è un’ottima medicina per guadagnare quelle competenze indispensabili per competere in uno scenario globale guidato da strategie e da strumenti digitali. Chi sta fermo è già perduto, anche se può recuperare impegnandosi nell’aggiornamento di tutta la propria struttura aziendale, investendo nella qualità del capitale umano. Il mondo digitale disorienta, incanta, illude, nasconde segreti, eppure offre opportunità incredibili. Tutti i corsi che ho tenuto hanno generato stimoli, idee e competenze nelle persone che vi han partecipato: una cura che sta dando risultati di crescita concreta di business.

A metà settembre ho tenuto un intervento a un incontro di imprenditori e imprenditrici della CNA a Rimini, dove ho affrontato il tema della crisi e dell’attitudine al cambiamento aiutandomi con un filmato che mi sono divertito a montare unendo spezzoni di film famosi. L’idea era scatenare una riflessione sull’oggettività e sulla soggettività della crisi attuale. Obiettivo riuscito, ma vorrei sviluppare qui altri spunti sul tema. Sono solitamente portato a pensare positivo, ma chi mi conosce bene sa che non speravo in una ripresa economica a breve, contrariamente a chi nell’annus horribilis 2008 diceva si potesse vedere nel 2011. Non sono un economista, ma da sempre tocco e studio ogni giorno  ciò che succede in giro – non solo in Italia – con l’ottica dell’uomo di marketing.

La crisi economica c’è, oggettivamente. Preoccupante, dolorosa per tante persone, globale, difficile da risolvere perché diversa dalle altre che da sempre si sono succedute: mio nonno parlava di quella degli anni ’20, mio padre di quella del dopoguerra, io vidi la mia prima nel 1973 e, da bambino, la trovai persino divertente. Ritengo che quella degli anni ’20 fosse dovuta ai problemi che portò con sé la Prima Guerra Mondiale, quando gli Stati iniziarono a stampare carta moneta allontanandosi dalla parità aurea che finallora manteneva in piedi l’equilibrio monetario globale. Allora partì la prima speculazione azionaria, anche in Italia, che favorì sicuramente l’espansione industriale ma che portò la crisi del 1929 e la concentrazione della produzione e al rafforzamento dei monopoli. Durante il periodo dal 1929 al 1933 più di 55.000 imprese italiane piccole e medie fallirono o vennero assorbite da grandi imprese. Fu la prima crisi economica mondiale. La “grande depressione” culminò con il crollo di Wall Street del 29 ottobre 1929 e segnò indelebilmente un’epoca fatta di comportamenti che qualcuno, per egoismo e avidità, continua ancor oggi a reiterare. Anche allora si comperavano titoli azionari per rivenderli senza preoccuparsi della loro qualità, in una spirale ovvia: all’aumento della domanda dei titoli si accompagnava quella delle quotazioni. A tutto questo va aggiunta la responsabilità dei rappresentanti delle holding che detenevano portafogli d’azioni e che quindi avevano interesse che i corsi dei titoli si alzassero. Per spingere i risparmiatori all’acquisto dei titoli, questi effettuavano dichiarazioni ottimistiche. L’aumento del valore delle azioni industriali, però, non corrispose a un effettivo aumento della produzione e della vendita di beni tanto che, dopo essere cresciuto artificiosamente per via della speculazione economica diffusasi a tutti i livelli in quegli anni, scese rapidamente e costrinse i possessori a una massiccia vendita, che provocò il crollo della borsa. Non sembra di leggere i quotidiani di oggi? L’unica differenza tra allora e oggi è che nel 1929 i risparmiatori, terrorizzati, si precipitarono nelle banche nel tentativo di salvare il proprio denaro. Il ritiro del denaro dal mercato provocò una crisi di liquidità di ampie dimensioni e il fallimento di molte banche che trascinarono nella crisi le industrie nelle quali avevano investito. Spero tanto che ciò non accada oggi. Ma tutte queste crisi sono sfociate in momenti di rinascita straordinaria, persino dalle macerie di una Seconda Guerra Mondiale o dai conflitti degli anni di piombo.

Indubbiamente la crisi attuale ha elementi molto gravi, dovuti a decenni di scelte colpevolmente sbagliate da parte dei potenti della Terra, ma ritengo che al di là del fattore oggettivo vi sia una lettura soggettiva che potrebbe cambiare in qualche caso questa crisi in una opportunità di crescita. Da un momento di difficoltà ci si aspetta una reazione, un moto di orgoglio, una ricerca di soluzioni. Una di queste va trovata nel settore digitale, che  merita un’analisi attenta per poter evolvere il proprio business pensando ai clienti/consumatori che nel frattempo sono cambiati: oggi visitano le grandi aree commerciali, cercano i prodotti su Internet, leggono i pareri dei loro “amici” su Facebook, confrontano le offerte via Web, influenzano i loro conoscenti nell’acquisto di beni e servizi. Oggi c’è chi vede la crisi e chi vede anche delle opportunità. E allora, riusciamo a vedere oltre?

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